Per un esame di coscienza motivato - 1 Massimo Rastrelli s.j. |
Primo comandamento -- Secondo Comandamento -- Terzo Comandamento -- Quarto Comandamento -- Quinto Comandamento -- Sesto Comandamento -- Settimo comandamento -- Ottavo comandamento -- Nono comandamento -- Decimo comandamento
Contributo a una solida formazione morale contro la irresponsabilità e la stoltezza che deriva dall'ignoranza
Ho scritto questo esame di coscienza perché oggi appare molto diffuso il disorientamento delle coscienze, al punto tale che gli stessi cristiani non sanno più distinguere il bene dal male. Non sono pochi quelli che, nell’accostarsi alla “Confessione”, dicono: “Non so che dire”, “Mi sembra di non fare nessun peccato”. Il non sapere come confessarsi e cosa confessare rende difficile l’accostarsi al Sacramento, per cui ci si sente anche lontani da Dio ed, erroneamente, si sente Dio lontano da noi.
E’ evidente che, in molte persone dei nostri tempi, la coscienza, come voce di Dio, è stata ampiamente tacitata. Esse, ascoltando i messaggi della cultura corrente, voltando la faccia a Dio e alla Sua Legge, e soddisfacendo soltanto le “voglie” personali, ed egoistiche ed immorali, che annebbiano la loro mente , si rendono molto aggressive e violente verso se stesse e gli altri. Lo scopo pastorale di questo sussidio è quello di aiutare ogni persona a risvegliare in se stessa la voce autentica della propria coscienza morale e teologale, quella che Dio, iscrive nei cuori, affinché si penta seriamente e realmente dei suoi peccati.
Nel testo ciascuno “verrà preso per mano”e condotto a “sapere il vero”, a “riflettervi su”, a "sentirlo”, nel cuore e nella coscienza, per responsabilizzarsi dinanzi a Dio, a Gesù, alla Chiesa, alla famiglia e agli uomini della nostra generazione. Converrà leggerlo, rileggerlo, un po’ alla volta, frequentemente e compiutamente, per capire le ragioni profonde dell’agire responsabile. Così usato, questo esame può essere un buon compagno che ci indica il cammino della vita, che ci aiuta a non compiere alcuna deviazione sbagliata e a tenerne fissa la meta e ci fa dirigere la condotta alla meta.
Spinto da un amore particolare al Papa, invito vivamente coloro che vogliono possedere una panoramica sintetica degli elementi essenziali e fondamentali della fede della Chiesa a consultare il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato il 28 giugno 2005. Ancora un consiglio ! – Questo articolato esame di coscienza è diretto a chi vuole convertirsi da una vita senza Dio ad una vita rispettosa di Dio. Conviene prendere contatto con un confessore per “scaricare” in confessioni ripetute ed immediate i peccati che emergessero all’esame della coscienza, via via che la lettura, l’esame della coscienza e il pentimento emergono nell’esame della vita passata. In questo modo si effettua un disobbligo di coscienza senza rimandi e senza sovraccarico di accuse costose che potrebbero creare paure e dissuasioni. Questo consiglio si rifà all’esempio di S. Ignazio che nella sua conversione fece precisamente come detto.
Esame di coscienza per la confessione
Il Segno della Croce e il suo significato
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo Amen. Padre, Figlio e Spirito Santo, noi vi salutiamo: noi confessiamo la nostra fede, con le labbra: noi diciamo: nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e, con il gesto della mano, noi indichiamo il nostro corpo, e la nostra persona: con le parole, che ci collocano nella Santissima Trinità, e col segno della croce, che andiamo tracciando sul nostro corpo, noi ci consacriamo al Padre al Figlio ed allo Spirito Santo.
Amati e perciò santi nel nostro essere
Ci consacriamo al Padre, che volle, che il Suo Figlio unigenito ed eterno, fatto uomo, dimostrasse, all’uomo mortale e a noi, quanto e come Dio lo ama e ci ama. Ci ama, cioè dalla croce e mediante la croce. Facendo il segno della croce noi professiamo la nostra fede, la nostra presa d’atto e la nostra consapevolezza, del mistero pasquale: cioè della incarnazione, passione, morte, sepoltura e resurrezione di Gesù, Figlio eterno di Dio fatto uomo, per noi uomini e per la nostra salvezza. Di fatto diciamo al Padre Celeste: Tu sei Padre mio. Diciamo a Gesù: Tu sei il mio Redentore. Diciamo allo Spirito Santo: Tu devi ispirare e muovere tutte le mie decisioni, perché siano non cattive, ma buone. Tu devi curare i miei mali, i miei disorientamenti e devi guidare tutti i passi del mio cammino e della mia vita.
Corretto rapporto con Dio nella preghiera
Dicendo quelle parole e facendo quel segno di croce, noi diamo inizio alla preghiera, apriamo, nell’unico modo dovuto, il rapporto con Dio: ci riconosciamo assunti nella Trinità divina, attraverso generazione, operata da Dio, della nostra persona: ci collochiamo, noi stessi, nel cammino e nella offerta della croce. Rendiamo anche attivo in noi lo Spirito Santo e ci poniamo nella vivificazione operata dallo Spirito Santo. Col segnarci della croce, noi ci mettiamo nel segno e nella realtà della croce, vissuta da Gesù e condivisa da ciascuno di noi, dalla Chiesa tutta e da tutte le umane generazioni. Noi ci prepariamo a capire il nostro stesso “valere” e“valore”. Capito, il “valore” nostro, ci disponiamo a “volere” quel valore, e a “vendere tutto”, per acquistare il valore che ci viene dalla croce.
Gesù ci amò dalla croce, perché ci amava e ci ama nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Nel farci il segno della croce dobbiamo sapere di fare qualcosa di impegnativo. Infatti, noi ci impegniamo a porre ogni altra persona, che ci troveremo dinanzi, nella stessa considerazione e stima nella quale Gesù ha posto noi stessi e ciascun uomo o donna dinanzi a sé, quando si incarnò e si offrì alla croce e alla morte, per "avvalorarci" nel “Suo troppo grande amore” che ebbe per noi. Ponendo, noi stessi e tutti gli altri nel nome del Padre, nel Nome del Figlio, e nel Nome dello Spirito Santo, ci dobbiamo ritenere impegnati a rispettare le tre Persone divine nel nostro comportamento, che assumiamo verso di loro, verso la Madonna ed i Santi, verso gli Angeli ed ogni altra persona.
La nuova giustizia generativa
Di conseguenza, non possiamo più retribuire secondo il principio "occhio per occhio, dente per dente", come richiederebbe una giustizia strettamente retributiva. Dobbiamo piuttosto dare noi stessi ed ogni cosa a chi pur ci fa il male, dal momento, che le divine Persone danno, a ciascuno di noi, Se stesse ed ogni altra cosa da loro creata e conservata in essere. Dobbiamo aprirci, quindi, agli orizzonti di una giustizia, non retributiva e commerciale, ma generativa: che gratuitamente fa essere chi non è, per valorizzarlo oltre il suo merito e per beatificarlo nella coscienza e nella esperienza di quel suo “valere” infinitamente, perché gratuitamente ed infinitamente amato. Tutto questo vale certamente nei sentimenti che dobbiamo nutrire. Quanto, poi, ai benefici del nostro agire dobbiamo stare attenti. Un solo limite si deve tenere sempre presente a nei rapporti con gli altri. “Attenti! - dice il Signore - Vi mando come pecore in mezzo ai lupi” Non possiamo aiutare i lupi ed agevolarli nella loro avidità, aggressività e nel loro vizio.
Pace vittoriosa nel superamento della vendetta
In questo modo, il segno della croce estingue ogni vendetta e ogni sentimento di inimicizia e fonda i rapporti tra gli uomini in una pace vittoriosa. Facendo il bene a coloro che ci fanno il male, noi capiamo che non possiamo farci assolutamente vendicatori del male; ma che dobbiamo “volere fare il bene” anche a chi ci fa il male, vincendo, in questo modo, il male col bene. Anche in questo senso S. Giovanni dice: “Questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede”, che deve essere fede nella realtà trinitaria delle Persone divine e nella realtà trinitaria dei battezzati. Vivendo, con occhi aperti a questa luce, si sperimenta quello che Gesù ha detto, che cioè Lui è venuto “per aprire gli occhi ai ciechi e per guarire”.
Apertura degli occhi per una guarigione della cecità
Quanto abbiamo detto, cioè il nostro segnarci nella Trinità divina e nella Croce, deve guarire, noi e gli altri, dal male della cecità. Esiste in noi una cecità che ci fa vedere noi stessi e non gli altri: Cecità che ci inaridisce nella capacità di amare e ci fa cattivi. Il peccato è comunque odio. L’odio si guarisce amando. Amando anche chi fa il male. Per amare chi fa il male, pur respingendo assolutamente il male da lui fatto, bisogna amare come Gesù ha amato dalla Croce.
Con quali occhi guardare?
A questo scopo chiediamo la grazia di ottenere, in dono da Dio, di avere occhi, che guardino come ha guardato Gesù e come ha saputo guardare Maria. Essa guardò nel profondo la SS. Trinità e, nella Trinità, gli affetti che intercorrono vicendevolmente tra le Persone divine, e tra ciascuna delle Persone divine e la mia persona, e, più oltre, tra la Trinità tutta e ciascuna persona di tutto il genere umano.
Per una conversione alla luce teologale
Invochiamo, a questo scopo, un dono di conversione, che ci faccia vivere, nei rapporti reali, la luce teologale e che Gesù ha vissuto e ha fatto risplendere nel mondo. Sempre in rapporto a questa luce teologale, debbo esaminarmi sull'effetto di questa luce, che è certamente la nuova autostima di me stesso, che debbo nutrire di me e degli altri, se credo in quella “Luce”. E debbo ancor più esaminarmi su quella gioia “indicibile" e "gloriosa", che debbo profondamente nutrire, avendo coscienza di me e degli altri, ben sapendo, che, se Dio stesso è contento di me e degli altri, ben posso e debbo, io stesso, essere contento di me stesso, degli altri e sopratutto di Dio.
Sempre, per vivere quella “Luce” teologale, è molto importante, che io viva un rapporto di fede e di amore con le Persone divine, con la Madonna Santissima, con i Santi e con gli Angeli e con gli uomini, che vivono la fede. Preso come sono dalle cose da fare e da possedere, potrei trascurare questi rapporti, con conseguente caduta della fede vissuta.
Comandamenti
Ancora, rispetto alla fede che debbo avere in Dio, debbo anche responsabilizzarmi verso il fatto, che Dio stesso ha parlato, si è rivelato,e ha donato agli uomini i Comandamenti della sua Legge e i Sacramenti delle Sue stesse comunicazioni con noi. Che considerazione faccio io dei Comandamenti e dei Sacramenti ? Ora esaminiamoci sui Comandamenti: sono dieci e sono stati dati da Dio. Dio ha dato i Comandamenti,a Mosè sul Sinai, affinché fossero legge al Suo popolo. Giacché Dio ha dato i Comandamenti, la prima cosa che possiamo e dobbiamo sapere è che i peccati, in definitiva, non sono giudicati dalla nostra coscienza. Infatti sono valutati e giudicati da Dio. Quando una persona dice: “Per me, questo mio comportamento, non è peccato”: stabilisce da sola il peccato.
Se il peccato è quello che Dio stabilisce, è già peccato sostituirsi a Dio, per fare noi, al posto di Dio, quello che solo Dio può fare: quando sappiamo benissimo che non siamo affatto Dio. Gesù nel Padre Nostro dice e ci fa dire: “…rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Non si è mai visto un debitore che abbia potuto annullare effettivamente un debito senza neppure consultare il creditore e senza mettersi d’accordo con Lui. Per questo noi non possiamo e non dobbiamo credere che è peccato quello che noi crediamo peccato; è invece peccato quello che Dio dice essere peccato. Per questo bisogna seriamente misurarsi con i Comandamenti.
Per un esame di coscienza analitico
Volendo entrare in un esame di coscienza approfondito e obbiettivo, dobbiamo considerare tutti i punti fondamentali del nostro dovere morale nei confronti di Dio, per fare, così, un effettivo esame di coscienza e per prendere coscienza di ogni atteggiamento responsabile, in cui si annida e si nasconde il peccato.
Quale rapporto abbiamo col Cielo e con la Chiesa ?
Prima di tutto vogliamo esaminare il nostro rapporto con la Santa Trinità, e poi anche con la Madonna, con i Santi , con S. Giuseppe con gli Angeli. Dobbiamo, poi, volerci ricordare che Dio ha parlato agli uomini ed ha dato la Sua Legge nei dieci Comandamenti. E dobbiamo volerci ricordare che Gesù ha istituito la Chiesa: e quanto alla Chiesa, dobbiamo volerci esaminare su due punti della Chiesa, cioè la nostra posizione rispetto alla parola di Dio e poi rispetto ai Sacramenti.
Quale rapporto abbiamo col Vangelo e con le Beatitudini?
Poi ci dobbiamo e vogliamo esaminare rispetto al Vangelo: e specialmente rispetto alle otto beatitudini. Vivere le otto beatitudini, vuol dire vivere tutto il Vangelo e che il Vangelo è vivo dentro di noi. Finalmente, poi, vogliamo esaminarci sul nostro rapporto alla nostra cara Madre: Maria, domandandoci se viviamo la fede come l’ ha vissuta Maria e prendendo in considerazione specialmente la Fede, guardando la Sua Fede. Con uno sguardo alle virtù della speranza e della carità si completa il quadro. Con tutto questo, abbiamo così precisato tutto il quadro per un serio esame di coscienza.
Esame sui Comandamenti
Primo comandamento |
Questo comandamento, perché sia da me vissuto, richiede che Dio ottenga da me, nella considerazione del mio cuore, nella comprensione della mia mente, nella decisione e nella ubbidienza della mia volontà e nella finalizzazione della mia vita e nell'impegno delle mie occupazioni anche quotidiane, il primo posto. Tutto il resto, rispetto a Dio Padre, Dio Figlio, e Dio Spirito Santo, deve assolutamente essere ritenuto secondario.
Tuttavia, nell’attribuire a Dio l’ assoluto primato, si deve anche considerare, che avendo Gesù detto: “Quello che fai al più piccolo dei miei fratelli, lo fai a me”, di conseguenza ogni persona umana e ogni cristiano in particolare deve essere considerato, soprattutto, in ragione del valore cristiano “aggiunto”, reale ed immenso: “valore” che Dio stesso gli accorda in grazia della incarnazione del Figlio. Dal momento che Gesù ha amato gli uomini peccatori più di se stesso, dobbiamo anche noi, nella fede, porre nella giusta sua “Luce”, ogni persona che incontriamo, in rapporto a Dio. La creatura stessa, nella ”Luce di Dio”, deve essere posta, per riflesso, nella stessa “Luce” e nello stesso valore di Dio. Dio, tuttavia, deve essere assolutamente e sempre ritenuto “il primo”. Non deve mai essere messo al secondo posto: in tutto, e specialmente in rapporto all'impiego del nostro tempo.
Il tempo deve essere per Dio
E' importante che il tempo stesso sia prima dato a Dio, e, poi, alle persone e alle cose e agli affari. Dando a Dio il primo posto, tra le cose e nel tempo, diamo a Dio un riconoscimento, non solo teorico, ma comportamentale. Questo è necessario per mettere cuore, mente, volontà e vita, in Dio. La Madonna a Medjugorje ha molto insistito, perché a Dio sia dato questo riconoscimento. Se qualcuno pensa, che possa bastare non escludere Dio dalla vita, dando a Dio soltanto un “posto paritario” rispetto ad ogni altra cosa o a tutte le cose, fa un grande errore. Se, poi, si mette Dio al primo posto, Dio è non solo il primo, ma anche l'unico.
Si deve fare memoria di Dio
Perché, poi, questo primato e questa necessità siano effettivamente vissute, è necessario fare memoria di Dio. Dobbiamo volerci ricordare di Dio. E per essere concreti: quale memoria di Dio faccio io quando mi sveglio al mattino? Sono, forse, io preso dalle cose da fare, o peggio da impegni, non moralmente sani, senza ricordarmi della Santissima Trinità, a cui certamente debbo quel mio risveglio, che mi restituisce alla operosità delle giornata?.
Si deve ringraziare Dio per tutti i suoi doni
Sento che non è corretto, da parte mia, godere di tanti doni da parte di Dio, senza prima ringraziarlo? Il “Credo” tramandato dagli Apostoli è un promemoria dei più grandi doni, che Dio Padre, Figlio e Spirito Santo mi hanno fatto. Prima di ringraziare le Persone divine di tanti beni strumentali, che Dio sempre mi dona, debbo certamente ringraziarLe, per quel donare che Esse fanno a me di Se stesse. Il Padre mi ha donato il Figlio; il Figlio mi ama, amando me più di Se stesso, sebbene Lui sia infinitamente ed incomparabilmente più grande di me. Gesù stesso mi dona il Suo Padre divino. Gesù, ci ha amati, mentre crocifisso, ha sofferto e ha dato la vita per noi, e ha amato me. Ad ogni risveglio, con la recita del Padre nostro, dell'Ave Maria e del Gloria al Padre, dobbiamo fare presenti, a noi stessi, la Divina nostra generazione da parte del Padre, la Incarnazione del Figlio divino, che per me si è fatto uomo, e il dono a me fatto dello Spirito Santo e la gloria della Trinità divina.
Dobbiamo pregare non in fretta per dimorare nell’amore
A Medjugorje la Madonna ci ha invitati a dire, ogni giorno, sette volte, il Padre nostro, l'Ave Maria e il Gloria al Padre, per fermare il cuore e la mente in questa immensa realtà di amore, che pur sempre ci origina e ci avvolge. Quando noi, facendoci la Croce, ci mettiamo nel segno della Croce, noi ci prepariamo a poter voler bene anche a quelli che ci fanno male, perché, quelli che ci fanno il male, proprio per quel male che ci fanno, mostrano di avere una piaga nel loro cuore: e noi dobbiamo non essere vendicatori del male che essi vogliono.
E’ infatti, sempre e soltanto Satana, che vuole, che il male ricevuto, produca vendetta. Noi, perché Cristiani, dobbiamo essere i guaritori di quel male e di tutte le malattie spirituali. Chi vuole il male dell’altro, odia. L’odio e peccato e il peccato è odio. L’odio si guarisce soltanto amando. Per amare chi fa il male, pur rifiutando sempre il male che viene fatto, bisogna vivere, verso chi fa il male, lo stesso amore, che Gesù ha vissuto verso i peccatori e verso di me, nella sua offerta fatta in tutta al vita e specialmente sulla croce.
Come porci bene dinanzi alla Santissima Trinità
E’ con questi sentimenti che noi dobbiamo porci davanti alla Santissima Trinità: dobbiamo voler comprendere la Santissima Trinità nelle ragioni profonde della sua vita di amore, e, a questo scopo, chiediamo la grazia che ci vengano dati gli occhi della fede, della speranza e della carità. Fatti così capaci di vedere le ragioni per cui Gesù ci ha amati anche e soprattutto dalla croce, possiamo diventare noi stessi capaci di amare gli altri come li ha amati Lui e di vederci amati, perché può e deve essere amato in noi ciò che la Santissima Trinità, ama. Per queste ragioni, noi, dinanzi al male dei tanti peccati degli uomini e del mondo, ci mettiamo a guardare la realtà circostante anche con gli occhi di Maria Madre, che seppe essere tanto unita a Dio nel vedere i dolori di Gesù, da unirsi ancor più alla Santissima Trinità.
Riflettiamo bene: il cuore di Maria, anche in quelle ore, seppe essere tutto una piena esultanza di gioia, in una riverenza profonda, per tutto quello che la Santissima Trinità seppe compiere, amando, espiando, redimendo e salvando. Per entrare in questa “Luce” trinitaria e totalmente divina, dobbiamo anche invocare il patrocinio di Maria, e chiedere un dono di totale conversione.
Quale rapporto abbiamo con la Santissima Trinità ?
Cominciamo ad esaminarci sui nostri rapporti con la Santissima Trinità. A questo proposito, la Madonna a Medjugorje ha detto: “Attenti, Dio è il vostro Dio: perché possiate essere verso Dio senza peccato, voi dovete mettere Dio al primo posto del vostro tempo, del vostro amore e delle vostre occupazioni.” Dio, Lo si mette al primo posto, se Dio diventa per noi, non solo il primo, ma anche l’unico. A questo scopo é necessario, che noi cominciamo ad esercitare con responsabilità la nostra memoria, volendoci ricordare di Dio. Poi ci dobbiamo domandare, se a prima mattina, quando ci svegliamo, ci lasciamo prendere dalle cose da fare e non ci fermiamo per salutare la Santissima Trinità e per riceverne i suoi doni. Per i doni a noi dati dalla Santissima Trinità è importante ricordare che, per una nostra memoria, sono stati riassunti nel “Credo” la realtà di 12 fatti, che ci riguardano e di cui dobbiamo essere grati.
Recitando il Credo, debbo, quindi, prendere memoria di ciò che la Santissima Trinità ha fatto per me; e nel passare in rassegna il vasto orizzonte di tanti doni, mi imbatto, al centro del Credo, nella menzione di Dio Padre, che ci ha donato suo Figlio e del suo Figlio, che ci ha amati mentre era Crocifisso; perciò la Madonna dice che noi dobbiamo celebrare sette volte il Padre nostro, l’Ave Maria ed il Gloria al Padre, percorrendo con amore tutte le piaghe del Signore, la flagellazione, la coronazione di spine, la trafittura delle sue mani e dei piedi e del costato e dobbiamo vedere, che Gesù ci ha amati con amore non momentaneo; ci ha amati con amore permanente e definitivo e che ci ama in questo momento. Dobbiamo quindi lasciarci responsabilizzare e chiamare dall’amore di Gesù. A questo scopo dobbiamo anche invocare lo Spirito Santo, perché infiammi i nostri cuori ed il mio cuore.
Non siamo proprietari di noi stessi
Il primo Comandamento dice: “Io sono il Signore Dio tuo non avrai altro Dio fuori di me”. Dice cioè che noi non siamo proprietari di noi stessi. Anche Gesù, dice che l’uomo è come il Suo corpo, come una vigna, che è stata seminata da un altro ed è stata data in fitto a dei coltivatori: quindi la nostra libertà, nel discorso di Gesù non può essere da noi gestita come se fossimo personalmente al posto del Creatore della vigna. Siamo soltanto al posto del coltivatore. Gesù dice anche che il Padrone, cioè Dio, ha mandato i servi a chiedere i frutti, e che i fittavoli non hanno voluto dare al Padrone i suoi frutti a Lui dovuti, perché hanno dimenticato di essere soltanto fittavoli. Anche l’uomo contemporaneo pensa di essere Padrone di se stesso e non pensa neppure di dover rendere conto a Dio e di dover dare a Dio quello che Dio chiede. Certo laicismo pensa sempre di più che non ci siano frutti da rendere a Dio. Molti dicono: non vogliamo dare a Dio ciò che è di Dio, perché Dio non esiste.
La vita è soltanto nostra e i frutti sono i nostri. Ma è onesto pensare e parlare così? Quando uno è soltanto amministratore, tale cioè da trattare ricchezza altrui, deve sapere di dover rendere conto al “Padrone”, a Dio nel caso nostro. Nessun uomo può fare da padrone sul proprio essere. E se fa da Padrone, pecca gravemente contro il primo Comandamento. E il peccato contro il primo comandamento è peccato grave, mortale. Non bisogna dire a Dio, io sono padrone della mia vita, perché così dicendo non si riconosce Dio come “Autore” e “Radice” della propria vita. Se un fiore dicesse ad una persona: “Mi piace stare nelle tue mani, staccami dalla mia radice”, nell’atto di essere colto, non sarebbe più un fiore vivo, ma un fiore morto.
Situazione di vita o di morte
Quando noi diciamo a Dio: “Tu non sei nostro Padre”: “Tu non sei il nostro Dio”, noi rimaniamo sradicati, come fiori colti e putrefatti. Anche se vivessimo a lungo il cuore resterebbe triste e depresso e disperato: già la morte avrebbe preso il cuore. Poi la morte, inesorabilmente, prenderebbe, a suo tempo, anche il corpo. E la morte sarebbe concepita come la caduta nel nulla e nell’annientamento. Si morirebbe, avendo scelto di vivere e di morire, senza Dio. Da morti si resterebbe senza Dio. E non perché Dio non c’è. Ma perché si è voluto credere che non ci fosse. Resta vero che “a chi il maggior disprezzo, la noncuranza, se ci sentiamo padroni od amministratori fedeli. Se vogliamo essere amministratori fedeli, dobbiamo ricordarci che non possiamo prendere nessuna decisione senza Dio. Dobbiamo essere persone, che si consultano con Dio e che collaborano con Dio.
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