Per un esame di coscienza motivato - 2

Massimo Rastrelli s.j.

Primo comandamento -- Secondo Comandamento -- Terzo Comandamento -- Quarto Comandamento -- Quinto Comandamento -- Sesto Comandamento -- Settimo comandamento -- Ottavo comandamento -- Nono comandamento -- Decimo comandamento

Secondo Comandamento:
“Non nominare il Nome di Dio in vano”.
Devi non vanificare la Potenza di Dio Inadeguatezza e necessità delle nostre forze

Se ci sentiamo inadeguati, è perché ci fondiamo sulle nostre forze. Ma non dobbiamo fondarci sulle nostre sole forze. Dobbiamo, anzi sentirci nel dovere di credere in Dio: cioè che Dio è, e che Dio opera con noi, ed in noi. Con il Suo aiuto e la cooperazione delle Sua potenza, possiamo fare non solo quello che ci comanda, ma anche quello che, in qualunque modo, ci chiede di fare, secondo il “Suo Progetto provvidenziale”. La Madonna santissima ci ha dato l’esempio. Con Lei e come Lei dobbiamo dire : “Mi avvenga secondo la Tua Parola”. Il 2° Comandamento spesso ci fa vedere, come ci troviamo dinanzi a nostre resistenze interne disfattiste, che costituiscono un vizio micidiale, insito nelle nostre inerzie naturali.

Quel vizio si chiama l’accidia. E’ l’accidia che ci fa dire che non abbiamo la forza di collaborare con Dio. Pensare e credere di non avere la forza è sempre adagiamento della nostra personale volontà demotivata.

L’incredulità ci depotenzia

E’, anche e di più, incredulità. Per incredulità noi impediamo a Dio di darci la forza e poi restiamo davvero senza forza. Se, invece crediamo, facciamo l’esperienza di quanto Dio sia Potenza e Forza; e di come lo sia sempre ed in modo sorprendente e meraviglioso. Se rinunciamo a credere e ci adagiamo nelle accidia istintiva, diciamo che Dio non è forza, non è potenza. Evidentemente, questa grave negazione delle realtà di Dio è peccato molto grave. Impedisce a Dio di potenziarci con la sua Onnipotenza e ci lascia nella esperienza perdente e disastrosa del “non posso”. Il secondo Comandamento ci invita e ci impegna a farci forza, per metterci in grado, sia di combattere il male e tutto il male, sia di fare il bene e tutto il bene. Entrambi le cose sono possibili soltanto attraverso il credere in Dio e mediante il parlare confidente con Dio: cioè mediante la preghiera.

Potenza e preghiera

Chi non prega non può avere in sé e non può sperimentare in sé la Potenza di Dio. La Madonna a Mediugorie ha detto, che molte persone muoiono, e muoiono male, perché, quando si ammalano, i parenti che pur vogliono la guarigione, vanno dai medici, vanno a prendere le medicine, ma non si mettono in preghiera e non chiedono aiuto a Dio. Non pensano neppure di ricevere i Sacramenti e di farli ricevere agli ammalati. Con questo rinunciano a tutta la Potenza, che Dio vuole mettere a loro disposizione, per guarirli e che, se ricevessero i Sacramenti, certamente sperimenterebbero. Il 2° Comandamento ci mette anche dinanzi alla Maestà e alla Potenza i Dio. Ci fa anche chiaramente capire e vedere che, quando diciamo o pensiamo che Dio non è “Potenza”, perdiamo l’aiuto della sua Onnipotenza.

Noncuranza di Dio e Suo disprezzo

E’ così scarsa la fiducia nella Onnipotenza di Dio che neppure in una situazione di malattia, lo preghiamo, e con questo disprezziamo Dio. E questo accade anche perché preghiamo tanto poco, o non preghiamo affatto, che la preghiera ci diventa del tutto estranea. Quando vediamo un peccatore e gli diciamo di non peccare, se lui mostra l’arroganza di volere peccare e di fatto pecca di più, noi ci sentiamo cadere le braccia; sentiamo che non possiamo farci niente e finiamo per non pregare Dio, neppure noi, per la sua conversione. E così ci comportiamo di fronte a coloro che si dicono atei. In questo caso, anche noi, i credenti, disprezziamo Dio. I Santi certamente non si comportarono così. Dinanzi a tanto male morale manifesto, si sono impegnati con Dio a favore dei peccatori ed hanno impegnato Dio, ottenendo meravigliose e clamorose conversioni. La nostra rassegnazione e il nostro fatalismo di fronte alla incredulità e al peccato altrui è un grave peccato contro il secondo comandamento. Dobbiamo, al contrario, cominciare a pensare che vanificare il nome di Dio, cioè non prendere sul serio Dio come Potenza di amore pronta a soccorrerci, è stoltezza e pazzia.

Riflettiamo per capire meglio. Talvolta una ragazza si fidanza e dice al ragazzo: ”Per amore tuo lascio mia madre, mio padre, i miei parenti e gli agi della mia casa. Per amore tuo vengo nei disagi di una vita di emigrazione e di disagi”. Nello stesso momento quella ragazza che pur dice al fidanzato: “Per amore tuo.” non dice poi a Dio “Per amore di Tuo, la mattina e la sera, prego: per amor Tuo vado a Messa, dove ogni giorno vieni dal Tuo paradiso fino a me, in questo mondo, per incontrarmi ed abbracciarmi. Se quella ragazza e il suo ragazzo fanno così, certamente vanificano il nome di Dio. Per un lavoro fanno sacrifici di denaro e di vicinanza ai loro affetti; fanno anche sacrifici di amore, accettando distanza e rinunce. Poi, per Dio che non chiede sacrifici, ma fede, non ci si impegna e si vanifica il nome. E si rompe il rapporto di amore e di comunione con Dio.

Terzo Comandamento:
“Ricordati di santificare la festa”.

Che cosa significa santificare la festa?

Anche questo comandamento deve essere ben capito e a questo scopo possiamo esprimerlo in altri termini. Ogni persona ama la sua festa. La festa è ciò che da gioia al suo cuore. Ma dove è la festa? In che cosa consiste? Ci sono persone che mettono la festa nel mangiare e nel bere; altre mettono la festa nel fare i viaggi, le gite, nel vedere le partite di calcio, altre ancora che mettono la festa nel giocare a carte, e non solo a carte; c’è chi mette la propria festa nel lavorare molto, ci sono persone che mettono la festa del loro cuore addirittura nel fare peccati; ci sono altri che mettono la festa nello stare insieme, nell’andare in discoteca. Tutti questi non mettono la festa nell’andare in Chiesa. Queste persone compiono un peccato, perché educano il loro cuore ad una festa, che non è stare con Dio. Il terzo Comandamento dice: “Attento! Dio dice: “Io sono la tua festa. La tua festa è stare con me nella preghiera, è stare con me nell’accettare il “mio giogo”, che è leggero e soave”.

C’è il giorno del Signore senza cui non possiamo vivere

La domenica non è il giorno libero: è, piuttosto e soprattutto, il giorno da dedicare a Dio. Soprattutto a Dio e non solo al riposo, non solo e principalmente alla famiglia, non solo alla casa, non solo ai parenti, non alle gite, se non secondariamente, e dopo aver celebrato il rapporto festoso con Dio, incontrato nella S. Messa. La Messa non è soltanto un rito. Ma nella S. Messa il Figlio di Dio fatto uomo, cioè Gesù Cristo, viene a noi e si fa fisicamente presente in tutta la Sua realtà umana e divina, in corpo, sangue, anima e divinità. Viene sotto le apparenze permanenti del pane e del vino. Viene ad incontrarmi e ad incontrarci. Pensare e fare così è osservanza del Comandamento. A parere di molti, secondo una certa mentalità diffusa, mentre il lavoro è degno di avere sei giorni alla settimana, Dio non sarebbe degno di avere un Suo giorno? Pensare così, è peccato contro il terzo Comandamento. E’ necessario convincersene, oggi più che mai, data la generale superficialità ed incoscienza. Il peccare contro il terzo Comandamento sta nel cuore di chi chiama “festa” tutto, e non chiama “festa” Dio.

La Santissima Trinità

Capacità di gioire di Dio e Paradiso

Dio vuole essere la gioia del cuore. Il credente che pratica il rapporto con Dio, sperimenta la gioia di Dio nel suo cuore. Quando noi moriremo saremo in Paradiso, se avremo un cuore capace di gioire di Dio. Se invece avremo un cuore incapace di gioire di Dio, allora avremo scelto l’inferno. Il paradiso e l’inferno non ci cadono sulla testa per decisione altrui. Ce li facciamo noi, con i nostri pensieri e con le nostre scelte, aprendoci a rapporti di vero amore, con Dio e con gli uomini, o chiudendoci nel nostro orgoglio distruttivo. Perciò Dio ci dice: “Ricordati di santificare la festa: cioè la tua festa vera deve consistere nell’appartenere a Me e nel farmi appartenere a te. Dobbiamo anche capire che permettere a Dio di appartenere a noi, significa “accoglierLo”.

E possiamo accoglierLo, perché Dio viene a noi realmente, e non solo mediante il nostro pensare a Lui. Dio viene a me nella Persona del Figlio di Dio fatto uomo; viene in Gesù, che, nella S. Messa, si fa presente e si comunica a me nella Sua carne risorta e glorificata, nel Suo sangue vivo, nella Sua anima e nella Sua Divinità. E con la Persona del Figlio, vengono sempre anche il Padre e lo Spirito Santo. Santificare la festa comporta vivere la S. Messa. La Messa, in televisione, comunica certo parole e sentimenti, e perciò vale molto per chi non può andare a Messa. Ma non comunica la reale presenza di Gesù, che è solo nella fisica presenza delle specie del pane e del vino.

Quarto Comandamento:
“Onora tuo padre e tua madre”.

Di fronte all’uomo “Immagine e Somiglianza di Dio”

Dio dice che la madre ed il padre sono la sua “Immagine e Somiglianza”, in questo mondo, fino alla morte di ciascun uomo, Dio, si rende a lui visibile attraverso l’altro uomo, che è e deve essere visto come “Sua immagine e somiglianza”. Questa identità deve essere vista, dai figli, soprattutto, nei genitori, a cui è data la grazia di essere in modo speciale “Sua Immagine e Somiglianza”, e ciò, sia per il fatto che sono una sola carne, sia perché, ai genitori, è dato di amarsi in modo specialissimo e sacramentale, e sia, infine, perché generano e allevano i figli. Generare è un miracolo.

Che significa onorare?

Secondo il IV° Comandamento i figli debbono onorare i genitori. Il termine “Onorare” esprime, prima di tutto, il rapporto di affetto e di stima, di riconoscimento, di sottomissione valorizzante, di devozione e dedizione, che la persona del figlio, creata da Dio e da Dio conservata in vita e condotta a salvezza, deve avere, verso Dio, nei genitori. Nei “Genitori” Dio si è reso operativo e visibile. Il modo con cui i Genitori amano, fa toccare con mano il modo con cui Dio stesso ama ed opera.

Ubbidire è sempre onorare?

Il IV° Comandamento dice che i figli debbono onorare i Genitori: non dice che debbono ubbidire ai Genitori. “Onorare” significa crescere e realizzarsi in modo da essere onore per i genitori. Non tutte le crescite sono tali da essere di onore, sia alla persona stessa, sia ai genitori. Se pure i figli disubbidissero ai Genitori, ma lo facessero in modo tale, che la disobbedienza si risolvesse in onore dei genitori, quella “disobbedienza” sarebbe assolutamente buona, e tale da dover essere condivisa dai Genitori stessi. Nello stesso modo ci sono ubbidienze ai genitori, che sono evidentemente contro il IV° Comandamento. E possiamo capirlo facilmente, giacché ci troviamo dinanzi a genitori, che educano i figli all’ateismo e ad ogni sorta di peccato. Per questo il dovere espressamente indicato dal Comandamento è di onorare il Genitore, perché il Genitore è l’’Immagine di Dio in terra, e come tale deve essere visto. Ben altri e diversi onori alcuni genitori si aspettano dai figli, come successo negli studi, non importa, se nella verità al cospetto di Dio o nella menzogna, se nella bellezza di rapporti dignitosi e sani o nella degenerazione di relazioni dove piacere, superbia e sopraffazione sono tutto ciò che si cerca e si vuole.

Ma, poiché anche il figlio o la figlia sono “Immagine” di Dio in terra, il IV° Comandamento ha, per suo riflesso diretto e consequenziale, il dovere, ingiunto ai Genitori, di dover anche essi onorare i figli, proprio perché sono, anche essi, “Immagine e Somiglianza” di Dio in terra. I Genitori, che debbono essere rispettati dai figli, debbono anche essi, rispettare, Gesù e Dio, nei loro figli: e debbono farlo, per una più forte coscienza, maturata in se stessi, della realtà dei figli come “Immagini e Somiglianze di Dio”. I Genitori, debbono, quindi, educare i figli al valore di questi rapporti reali, in modo che tutti, Genitori e Figli, vivano i sentimenti di Gesù.

Se i Genitori insegnano ai figli la lingua per parlare, la casa dove vivere, la pulizia della casa da curare, il mangiare e il bere, devono rivelare ai figli anche e soprattutto, la realtà di Dio e il giusto rapporto con Dio. Debbono far capire, ai figli e a tutti gli amici, che la grazia di Dio vale più della vita; che vale più adorare Gesù, presente nel Santissimo Sacramento, che fare affari, possedere ricchezze e acquistare prevalenza sociale. E’ onorando i Genitori che i figli si rendono degni e capaci di essere, essi stessi, onorati dai Genitori. E’ onorando i Genitori, che I figli, imparano e si allenano, come in una palestra, ad onorare Dio anche nell’uomo e in tutti gli uomini in Dio.

Per una educazione a crescere

Da queste riflessioni, che sono necessarie prese di coscienza, si può ben capire, quanto sia dannoso e distruttivo, per il genitore, il concepire se stessi e il proprio situarsi nel mondo, ateisticamente, rimuovendo cioè, e falsamente, Dio, da tutto l’orizzonte delle realtà e dalla propria realtà. Se si rimuove Dio, ci si pone nella falsità e nella menzogna fondamentale ed assoluta: si svaluta se stessi e i figli, si svuota di valore, di bellezza, di gioia tutto e tutti, la vita stessa, per se stessi e per tutti. Una volta che, nei rapporti reciproci, si sia perduto “il senso del guadagnare valore, dando valore”, e ci si guasti nelle stesse proprie capacità di percepire la realtà e il valore della realtà, si cade inesorabilmente nel baratro psicologico e morale dell’assuefarsi sempre più ai gusti perversi della sopraffazione, della ribellione e della rivalità. Allora la vita produce rottura di rapporti e distruzione. La vita stessa perde il suo senso ed ogni suo valore.

L’uomo finisce per non sapere più chi è e che cosa vale. Alla cultura della vita si sostituisce la cultura e la ossessione della morte. L’angoscia opprime il cuore e spegne ogni capacità di capire e di amare. Guardando più profondamente, il IV° Comandamento ci induce, poi, ad onorare ogni uomo. Ciò che vediamo nei nostri genitori, o che i genitori debbono vedere nei figli, dobbiamo, poi, imparare a vederlo in ogni uomo ed in ogni donna. E’ Gesù che ci dice: “Quello che fai al più piccolo di questi miei, lo fai a Me!”.

Quinto Comandamento:
“Non ammazzare.”

Il valore della vita

Questo Comandamento comanda di dare valore assoluto alla vita. “Non ammazzare” vuol dire che non possiamo fare da “padroni” sulla vita nostra e su quella degli altri, perché il corpo, sia quello nostro che quello altrui, è dato a noi, ma non è nostro. E’ assolutamente di Dio: perché è Dio che lo ha progettato, lo ha voluto, lo ha creato e lo conserva in vita. Per la stessa ragione non possiamo neppure abusare del corpo. Ci sono doveri che riguardano la conservazione della salute nostra ed altrui, quella fisica, psicologica e morale e spirituale.

Ci sono doveri precisi di “non sprecare” ciò che vale: di “ non sprecare” la vita, quella eterna e quella fisica del corpo, perché valgono. Così pure non bisogna neanche mutilare e depotenziare, se stessi e gli altri, nel bene prezioso dell’anima spirituale e del corpo.

Il valore della vita

Questo Comandamento comanda di dare valore assoluto alla vita. Non ammazzare vuol dire che non possiamo fare da “padroni” sulla vita nostra e su quella degli altri, perché il corpo, sia quello nostro che quello altrui, è dato a noi, ma non è nostro. E’ assolutamente di Dio: perché è Dio che lo ha progettato, lo ha voluto, lo ha creato e lo conserva in vita. Per la stessa ragione non possiamo neppure abusare del corpo. Ci sono doveri che riguardano la conservazione della salute nostra ed altrui, quella fisica, psicologica e morale e spirituale. Ci sono doveri precisi di “non sprecare” ciò che vale: di non sprecare la vita, quella eterna e quella fisica del corpo, perché valgono. Così pure non bisogna neanche mutilare e depotenziare, se stessi e gli altri, nel bene prezioso dell’anima spirituale e del corpo.

L’aborto è abominevole assassinio

Per questo principio dobbiamo sapere che chiunque, nel corso della sua vita, ha consigliato ad altri, o, peggio, ha messo in atto l’omicidio, ha peccato e molto gravemente. Così chi ha fatto e ha consigliato l’aborto, costui ha peccato gravemente di assassinio. Si pecca facendo l’aborto, si pecca consigliando l’aborto, si pecca aiutando a fare l’aborto. L’aborto consigliato a chi lo mette poi in atto, è un aborto fatto. E se una persona ha consigliato l’aborto, e l’aborto è poi stato fatto, quella persona non solo ha peccato, ma è anche incorsa nella scomunica da parte della Chiesa.

Gli Apostoli dopo aver ricevuto lo Spirito Santo

Aborto e scomunica

Infatti, l’aborto fatto, cioè eseguito, è colpito dalla Chiesa con la pena di scomunica. La persona viene colpita dalla scomunica, perché deve sapere, non solo che ucciso, ma anche che ha ucciso una persona indifesa e facendo che la stessa madre uccida. La scomunica, in questo caso, non recide totalmente lo scomunicato dalla comunione ecclesiale e sacramentale con Dio, ma avvia la persona peccatrice verso un più impegnativo percorso penitenziale, senza il quale non può accedere alla Eucaristia, e tutto questo allo scopo di far fa sapere alla persona che pecca di aborto e alla chiesa tutta e al mondo, che quel peccato mortale ha effettuato e prodotto quella mortale rescissione ed esclusione del peccatore dalla vita divina della grazia.

Scomunica e coscienza

Oggi, purtroppo, ci imbattiamo sempre più frequentemente in persone, che pur dicendosi credenti e cattoliche, quando, poi, si tratta di questi e di altri peccati, si danno ogni ragione per non ammettere che questo o altri peccati, lo siano. Dicendo per esempio: “Noi abbiamo ucciso per necessità e, quindi, per giusta ragione”, pensano di poter dire di non avere peccato. Ma si sbagliano totalmente e gravemente. Il Comandamento dice: “non uccidere”. Chi uccide viola il Comandamento. Non ci sono giuste ragioni per uccidere. E non ci sono mai! Volendo ben confessarci, dobbiamo far parlare, nella nostra coscienza, non la voce dei nostri interessi o delle nostre ragioni, ma la voce di Dio. Quindi, per ben confessarci, dobbiamo chiamare “peccato”, ciò che Dio dice essere peccato e non ciò che pensiamo erroneamente non essere peccato, a nostro comodo o in base a nostri calcoli. Dio ha rivelato ciò che è peccato e lo ha detto nella sua Legge. Noi dobbiamo ben saperlo.

Non siamo noi che possiamo stabilire ciò che è peccato, o ciò che non lo è. C’è la Legge di Dio, promulgata sul Sinai e confermata da Gesù. Se qualcuno ha ucciso, ha ucciso! E non ci sono scuse, che permettano di dire che non è stato fatto, quello che è stato fatto. Non si può dire che chi ha ucciso, non abbia ucciso. E non importa se è passato tanto tempo. Dio nella Sua Rivelazione ce lo dice chiaramente, e ce lo dice per farcelo ben capire. Dopo il primo omicidio Dio domanda a Caino: “Caino dov’è tuo fratello?”. La domanda in sostanza chiede a Caino: “Perché hai ucciso Abele”.

Caino risponde di non essere lui il guardiano del fratello e lascia senza risposta l’aspetto sostanziale della domanda. Caino non vuole vedere le sue responsabilità. Ma quelle responsabilità restano e lo danneggiano. Caino ha ucciso senza ragione, e questo resta nel fatto compiuto, anche, se l’assassino nasconde a se stesso le sue responsabilità. Nel mondo che ci circonda le ragioni per uccidere sembrano essere tante. Tanti uccidono per ragioni che la coscienza onesta ed obbiettiva non comprende e rifiuta. Ma essi se ne fanno una ragione, fino ad uccidersi per uccidere.

Coscienza vera e coscienza falsa

Le comunicazioni di massa e mondiali danno notizia di queste ragioni: ma il fine, se pur fosse buono ed ottimo non giustificherebbe l’azione cattiva in se stessa. E più ancora non giustifica l’azione il fine già per se stesso cattivo. Bisogna saperlo chiaramente: nessuna ragione, neppure la vendetta, giustifica l’omicidio. E’ importante, in questo momento di esame di coscienza, esaminarci, se non abbiamo, noi stessi, giustificato, in qualche caso, l’omicidio. E questo vale, anche e più ancora, nel caso dell’aborto. Molti ammettono di poter decidere l’aborto di una vita e producono embrioni destinati a morire. Il giustificare l’omicidio e l’aborto, anche di embrioni artificialmente prodotti, è già uccidere. Se si è ucciso bisogna soltanto ammettere la colpa e confessarsi. Gesù ha detto che gli uomini possono essere perdonati anche da tutti gli omicidi, che potranno e vorranno fare, ma debbono pentirsi e correggersi, riparando al possibile il male fatto.

Anche lo scandalo uccide

Il quinto comandamento oltre l’omicidio, il suicidio e le mutilazioni, proibisce anche il peccato di scandalo. Anche con lo scandalo si uccide la persona nel suo rapporto con Dio e tra gli uomini. Gesù insegna che non dobbiamo temere coloro che uccidono il corpo, ma piuttosto coloro che uccidono l’anima. L’anima si uccide con lo scandalo. Si dà scandalo quando si danno esempi contro l’osservanza dei comandamenti, inducendo a fare peccato mortale, o anche quando si insegna contro il rispetto dovuto a Dio e alla sua Legge. Un uomo o una donna che nella sua famiglia, dà da mangiare, dà da bere, provvede al vestire e alla casa, e che non fa mancare il denaro anche per i capricci e per i vizi, ma che non prega mai, che non va mai in Chiesa, o non frequenta la Messa domenicale da scandalo: pecca di scandalo e aliena i figli dal Signore. Lo scandalo poi viene attraverso tutte le manifestazioni della vita, per cui uno mostra di pensare che Dio non è il proprio Signore.

Gesù diceva che, se qualcuno scandalizza un bambino che crede in Lui, merita che sia gettato in mare con appesa al collo la pietra che macina il grano. Subendo la condanna a questa pena Colui che scandalizza capirebbe quanto il dare scandalo fa perdere la vita spirituale e divina. Bisogna che riflettiamo sulle seguenti parole di Gesù:“Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido! sarà sottoposto al Sinedrio; e chi gli dice: Pazzo! sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Se, dunque, presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.

Sesto Comandamento: “Non fornicare”, o in altra formulazione: “Non commettere adulterio”

Responsabilità morali sul corpo proprio ed altrui

Dio ha dato il corpo dell’uomo, perché fosse, anche nel suo corpo, l’Immagine e la Somiglianza di Dio, e, a questo scopo, Dio ha dato all’uomo, nel suo corpo, la facoltà per generare la vita. Ma gli organi della generazione, come anche tutti gli istinti e gli affetti della generazione, non possono e non debbono essere mai considerati come proprietà dell’uomo che li ha. Il dare la vita è proprio di Dio. Dio solo crea, perché Lui solo può creare dal nulla. E’ sempre Dio che crea i bambini, anche se lo fa attraverso i genitori. Anche in questo, come in tutto il resto, Dio da parte sua è fedele. Per questa Sua fedeltà Dio non crea bambini, se non attraverso i genitori; e mai Dio ha creato un figlio senza un genitore. Anche nel caso della Madonna, l’umanità di Gesù è stata creata mediante la Genitrice.

Dio fedele richiede sempre dall’uomo che sia a sua volta fedele. Chi ha l’onore di essere chiamato da Dio a collaborare, non è fedele, se, invece di comportarsi come collaboratore, si atteggia a padrone, non riconoscendo da parte sua, quanto deve a Dio, che lo ha chiamato a collaborare. Certamente in questo sbagliano molto e peccano coloro che si atteggiano ad atei o che mostrano di essere agnostici ed indifferenti. Non puoi non corrispondere a Colui che ti ama, ti crea, ti fa essere ed agire.

“Amministratori”, non “padroni” del corpo

Che gli uomini, non credenti in Dio e tutti coloro che si “deresponsabilizzano” nel rapporto verso Dio, pensino e dicano, che gli organi della generazione siano della loro persona, e li usino a modo proprio e a loro piacimento, sia pure col consenso dei non credenti e secondo mode condivise dalla cultura diffusa e dominante, non muta lo stato dei fatti; Tutto questo atteggiarsi da “padroni” in ciò che si è ricevuto, rende falsi gli uomini nel loro pensare e usurpatori e cattivi nel loro agire. Rende le persone peccatrici, come sempre il rubare, nei rapporti tra gli uomini, rende il ladro dannoso: lo rende anche falso, in quel suo ritenere proprio ciò che è altrui e lo rende cattivo, in quel suo usurpare ciò che non è proprio. Se questo è vero nei rapporti tra gli uomini, infinitamente di più questo è vero quando non si riconosce a Dio ciò che è di Dio.

Che una donna dica: “Io ho scelto mio marito”; e che un marito dica: “Io ho scelto mia moglie”; dicendo e pensando, con queste parole, che non è Dio che li ha scelti e li ha donati reciprocamente ad entrambi; e che, poi, l’uno e l’altro, nell’atto di vivere ed atteggiare le proprie persone e i loro propri corpi facendo da padroni e lo facciamo mettendosi d’accordo tra loro e nell’approvazione di altre persone non credenti, questo non toglie, che dette persone, si facciano, nel loro pensare e nel loro agire, falsi e senza verità, giacché resta sempre vero, che non si sono fatti da se stessi e che, se esistono, esistono perché Dio li ha creati, e che non possono annullare la relazione di dipendenza dalla Onnipotenza di Dio che li ha creati, che li conserva in vita e che li attiva, in tutte le loro operazioni interiori e le loro azioni esteriori, in tutte le loro decisioni ed azioni. Il decidere di se stessi, magari mettendosi d’accordo con un altro e secondo un costume prevalente, ma senza domandarsi, se è d’accordo Lui, il Creatore ed il Signore, questo è il “peccato impuro”.

Coscienza impura perché accecata

Questo peccato è detto impuro, nel senso e nel modo in cui chiamiamo impuro l’occhio o il vetro. Quando l’occhio non vede, lo diciamo impuro, cioè non trasparente e macchiato, proprio come il vetro. Quando facciamo tranquillamente un atto della nostra persona o del nostro corpo, non vedendo la connessione di quell’atto con Dio, che ci dà il corpo, l’anima, le facoltà umane e il tempo e la stessa altra persona con cui ci relazioniamo, quell’atto da noi fatto e voluto è cattivo, è sporco, perché non è fatto in vista di tutti i fattori, che ne costituiscono la possibilità e la fattibilità. E’ fatto da ciechi, che non vedono. E’ un atto che costituisce peccato impuro.

Come tale ogni peccato è impuro. Ma è detto impuro particolarmente il non vedere Dio nelle relazioni, che impegnano la facoltà generativa dell’uomo e della donna, perché, in quella relazione in cui si è chiamati a creare con Dio, non vedere Dio, è particolarmente innaturale, cattivo ed usurpatorio. Detto peccato resta tale comunque e dovunque avvenga: e, in particolare, sia che avvenga fuori, sia che avvenga dentro il matrimonio.

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